Notiziario

Ad un secolo dall’«Appello ai liberi e forti»

Tra qualche giorno, il 18 gennaio, ricorrerà il centesimo anniversario dell’appello «ai liberi e forti». Abbiamo chiesto a don Tarcisio Chiurchiù, docente di Storia della Chiesa presso l’Istituto Teologico Marchigiano ed esperto del Movimento Cattolico di richiamare brevemente il senso di questo cruciale passaggio della vita democratica del nostro Paese.

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Prof. Chiurchiù, quali sono secondo lei i contenuti centrali e innovativi del manifesto dei popolari?

 

Innanzitutto, credo necessaria una contestualizzazione che ci aiuta a comprendere. Ormai terminata la Prima Guerra Mondiale e di fronte a nuove elezioni politiche in Italia un gruppo di giovani cattolici, orientati a stimolare un impegno diretto dei cattolici nella vita politica nazionale, pensarono un documento intitolato appunto “Appello ai liberi e forti”. Considerato un po’ come l’atto di fondazione del Partito Popolare Italiano, esso fu redatto esattamente il 18 gennaio 1919 da una Commissione Provvisoria formata da Giovanni Bertini, Giovanni Bertone, Stefano Gavazzoni, Achille Grandi, Giovanni Grosoli, Giovanni Longinotti, Angelo Mauri, Umberto Merlin, Giulio Rodinò, Carlo Santucci e dal segretario politico Luigi Sturzo. L’Appello che i popolari avevano pubblicato, simbolo del loro programma politico, toccava tutti gli ambiti più importanti e dibattuti della vita civile sociale ed ecclesiale:

-        difesa della pace e sicurezza per tutti i cittadini allontanando ogni possibile altra guerra e auspicando  il disarmo universale.

-        «riforma dell'Istituto Parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto delle donne, e il Senato elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali» e la semplificazione delle burocrazie.

-        difesa della libertà  d’insegnamento, delle organizzazioni di classe ma soprattutto libertà alla Chiesa per svolgere la sua missione spirituale nel mondo.

-        riforma della «previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà devono tendere alla elevazione delle classi lavoratrici», riforma agraria e soluzione dei problemi del Mezzogiorno.

-        lotta all’analfabetismo e riorganizzazione scolastica.

Ci si accorse presto che raccogliere le forze cattoliche non equivaleva ad unire le idee, in ogni caso differenti per le diverse sensibilità politiche da cui i popolari provenivano; mentre si discutevano sulle modalità di applicazione di alcune tematiche centrali del nuovo partito (l’aconfessionalità, la riforma elettorale, il problema delle campagne) si cominciavano a formare nel dibattito interno, motivi di reciproco malcontento tra confessionalisti ed aconfessionalisti, tra progressisti (o di ala sinistra) e conservatori (o di ala destra, di ispirazione clerico-moderata).

 

 

Qual è stato, dal suo punto di vista, il ruolo personale di Sturzo nel passaggio dall’Opera dei Congressi al Partito Popolare?

 

Fu il sacerdote siciliano don Luigi Sturzo l’uomo più rappresentativo di questo passaggio e di questo rinnovato dialogo tra proposta cristiana e programma politico, interpretando i bisogni e le priorità di una nuova politica d’ispirazione cattolica. Durante gli anni del conflitto, dopo aver superato i dibattiti sull’interventismo, egli aveva tentato di rileggere il problema della guerra non come semplice problema d’oppressione e di violenza, ma come conseguenza d’errate politiche borghesi che erano culminate in scelte di sopraffazione e di soprusi per il predominio sui mari e sui mercati: la cosiddetta civiltà della «libertà e del rispetto di tutti» non aveva saputo impedire i massacri che si erano svolti in tutta Europa.

L’esigenza di reagire a questo stato di cose fu lo stimolo maggiore alla creazione di un nuovo partito delle forze cattoliche unite, così come si provava ad unirle nell’Azione Cattolica di tutta Italia. Sturzo riassumeva in sé, nella sua vicenda personale di cattolico impegnato il ruolo del politico e del cattolico, non solo nei progetti, ma nell’azione concreta come sindacalista e segretario della Giunta dell’Azione Cattolica, dove aveva dato prova delle sue capacità organizzative e culturali. Il dopo-guerra era per lui il tempo opportuno non solo per ricostruire le strutture distrutte dalla guerra ma anche l’occasione di far ascoltare la proposta politica di un nuovo partito, nato non solo per difendere o arginare le prerogative della Chiesa, ma per aiutare i deboli cittadini a riacquistare la loro dignità, attraverso un innovativo programma sociale. Questo progetto politico-popolare sembrò esplodere in tutta la sua interessante proposta tra la fine del 1918 e gli inizi dell’anno successivo.

 

 

Celebrare un anniversario implica sempre un’operazione di memoria storica. Che cosa è ancora attuale di questo testo?

 

Il 18 gennaio 1919 le nazioni vincitrici della Prima Guerra Mondiale celebrarono a Parigi la Conferenza di Pace per disegnare i nuovi equilibri europei. Ci si domanda come sono stati recepiti questi Appelli di Pace e come i cattolici hanno contribuito a questo progetto di pace e di una buona politica. Nei giorni attuali sono rari e timidi i tentativi di un appello ad un progetto politico “cristianamente ispirato” non confessionale. I valori universali di pace, giustizia sociale, impegno culturale restano appelli mai fuori moda di cui il cristiano resta paladino e collaboratore con tutti gli uomini di buona volontà. ”L’Appello ai liberi e forti” resta pertanto una verifica continua e una sorta di esame di coscienza ecclesiale per comprendere se è ancora vivo l’impegno sociale a favore dell’uomo debole e povero di questo secolo. È curioso che il 19 gennaio 1919, all’indomani della redazione dell’Appello ai Liberi e Forti nasceva sempre a Roma l’On. Giulio Andreotti che ha segnato il particolare indirizzo che il Partito Popolare (poi convertitosi in Democrazia Cristiana), ha seguito nel secondo dopo-guerra. Rappresentativo della cosiddetta Prima Repubblica e fervente cattolico, egli pone nella storia dell’impegno dei cattolici in politica una particolare modalità di traduzione dell’essere partito dei cattolici e l’esigenza di una rigorosa memoria storica che crei l’opportunità di un rinnovato appello “ai liberi e forti” di questo tempo.

 

A cura dell’Istituto Teologico Marchigiano

 

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